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Santi del 23 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

*Sant'Aigulfo di Metz - Vescovo (23 Agosto)
VI sec.

Sant’Aigulfo (Agiulfo, Aigulfus, Agiulfus, Aigolfus, Agigulfus, Agilfus, Aigalfus, Haigulfus o Aigulphe) è il ventiseiesimo vescovo di Metz.
Nella cronotassi ufficiale dei vescovi succede a San Pietro, menzionato prima del 581 e precede Sant’Arnoaldo.
La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto "Sacramentario" di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855.
Poche sono le notizie che lo riguardano. Il suo governo è da indicarsi sicuramente tra gli anni 590 e 601.
Ci sono varie ipotesi sul suo governo pastorale.
Un catalogo antico dice che sia stato vescovo per dodici anni, altri dicono che sia stato più lungo visto che nel 601 era nel pieno del suo governo.
Infatti, in quell’anno il Papa San Gregorio Magno gli raccomanda i missionari che aveva inviato in Inghilterra per raggiungere Sant’Agostino di Canterbury.
Nel volume "Gesta episcoporum Mettensium", Polo Diacono ci informa che Sant’Aigulfo era un discendente diretto di re Clodoveo, da sua madre materna, attraverso una delle sue figlie del re.
Nel 590 tenne un concilio di Metz, durante il quale fu deposto il vescovo Egidio di Reims.
Infine, secondo un manoscritto dell’ottavo Secolo, sembra che il re Teodeberto II gli abbia assegnato, l’antico vescovado di Avisitum.
Saint’Aigulfo avrebbe posto quale vescovo di quella sede, prima suo fratello Deodario e poi suo nipote Moderico.
Non è rimasta traccia circa il suo culto.
Sant’Aigulfo non figura nel proprio di Metz, mentre in alcuni documenti la sua festa era fissata al 23 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Aigulfo di Metz, pregate per noi.

*Sant'Antonio di Gerace - Eremita (23 Agosto)

Martirologio Romano: Nel monastero di San Filippo vicino a Locri in Calabria, Sant’Antonio di Gerace, eremita.
Di Antonio, asceta basiliano calabrese del sec. X, si hanno poche e frammentarie notizie. Contemporaneo di San Nilo di Rossano, fu penitente nel monastero greco di San Filippo Argirò, in territorio di Locri, insieme con San Nicodemo di Mammola e San Jeiunio di Gerace.
La sua vita non si differenziò da quella degli asceti greci contemporanei, essendo caratterizzata dal distacco completo dai beni della terra, dallo spirito di orazione e dall'ardore della penitenza.
Compì diversi miracoli sia in vita che dopo la morte; ebbe culto pubblico nel monastero, in cui morì e fu sepolto, e nella città di Gerace, in cui si trova ancora una sua statua lignea, che viene portata in processione in occasione della sua festa, che cade il 23 agosto.
Il Ferrari ricorda assieme ad Antonio anche Nicodemo, cui dà l'appellativo di beato, ma sul culto di quest'ultimo le testimonianze sono discordanti.
Qualcuno tramanda particolari favolosi su Antonio, confondendolo con sant'Antonio di Cassano e quindi facendone un eremita del Monte Lipirachi.
Il Menniti ne fa un archimandrita: cosa che non risulta da altra fonte.
Il Karalewskij ne sdoppia la personalità, ricordando un Antonio, archimandrita di Locri, riferito dal Menniti, e un Antonio di Gerace, ricordato dall'Agresta, ignorando che Locri è il nome antico di Gerace.
L'Oppedisano, infine, assegna Antonio al 1313, malgrado affermi che «insieme a lui si santificarono San Jeiunio e San Nicodemo», che appartengono al sec. X.

(Autore: Francesco Russo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Antonio di Gerace, pregate per noi.

*Beato Antonio l'Etiope (o Catagerò o D'Avola) - Eremita (23 Agosto)  

Barce di Cirene, Libia, 1490 ca. - 14 marzo 1550
Rocco Pirro dice di lui: “Vir fuit supra modum humilis atque erga egentes fratres charitate insignis; ah Angelo Custode ante obitum diebus octo de hora mortis fuit praemonitus atque illi per hoc dierum octo spatio astitit.".
(Fu uomo straordinariamente umile ed insigne per carità verso i fratelli bisognosi. Otto giorni prima della morte fu avvisato dall'Angelo Custode dell'ora della sua morte e venne assistito da lui per tutti gli otto giorni).
Morì nel 1562 e fu sepolto onorevolmente in chiesa. Compì molti miracoli prima e dopo la morte. Nel martirologio francescano è commemorato come beato il 23 di agosto.
Il Beato Antonio nasce a Barce di Cirene (Libia) verso il 1490, figlio di genitori maomettani che lo educano alla legge coranica. Le Galee della Sicilia lo prendono prigioniero, lo sbarcano a Siracusa a terra insieme al bottino e lo espongono al bando al migliore offerente come schiavo. Viene acquistato da un massaro di Avola che lo occupa nell'ufficio del pastore e gli affida il suo gregge di pecore e di capre. li buon massaro avolese cerca di iniziare il giovane al cristianesimo, e catechizzandolo mette a fuoco particolarmente il dramma d'amore e della passione di Gesù.
Antonio affascinato chiede il sacramento del Santo Battesimo scegliendo per sé il nome del famoso
Santo di Padova. Da quel giorno in poi si impegnerà a mettere in pratica quanto avrà ascoltato dalla parola di Dio così da volere servire il Signore ed essergli grato.
Ad Avola Antica frequenta la chiesa di Santa Venera, dove si confessa e si comunica ed alimenta la lampada votiva all'altare dell'apostolo San Giacomo. Questo per i 38 anni di permanenza in territorio Avolese.
Nel frattempo il massaro che lo aveva acquistato dà in matrimonio due nipoti con dei netini donando loro il gregge e lo schiavo libico.
Da allora Antonio va a Noto. I nuovi padroni però considerano le qualità soprannaturali e i miracoli del nuovo schiavo, lo rendono libero. Antonio rimarrà con loro altri quattro anni.
Licenziatosi da loro, Antonio si offre a servire i carcerati ed i malati, poi sceglie la vita eremitica, come terziario francescano, ai Pizzoni di San Corrado Fuori le Mura. Periodicamente si reca a Noto per accostarsi ai sacramenti e raccogliere elemosine per i poveri. Consumato dall'ascesi eremitica, dagli anni e dalla malattia rende l'anima a Dio il 14 marzo 1550.
Viene seppellito nella chiesa francescana di Santa Maria del Gesù a Noto che diviene meta di pellegrinaggi e di grazie. Nel 1611 viene data licenza di divulgare l'immagine con aureola di beato. La diocesi di Noto venera il beato Antonio il 14 marzo.
Il 14 marzo 2012 è stata inaugurata ad Avola antica una statua in bronzo del Beato Antonio Etiope. Il suo culto è molto vivo in Brasile, mentre nel Netino è stato riscoperto grazie alle ricerche di Monsignor Guastella nel 1992, che lo ha proposto come patrono della Caritas della Diocesi di Noto.

(Autore: Don Damiano Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio l'Etiope, pregate per noi.

*Santi Ciriaco, Massimo, Archelao e Compagni - Martiri (23 Agosto)

Martirologio Romano: Presso Ostia, nel Lazio, Santi Ciriaco e Archelao, martiri.
Santi Ciriaco, Massimo, Archelao e Compagni, martiri.
Sono commemorati nel Martirologio Romano il 23 agosto come martiri di Ostia, con la rispettiva qualifica di vescovo, presbitero e diacono.
Alla stessa data nel Martirologio Geronimiano sono ricordati i soli Ciriaco e Archelao, ma senza menzione di alcuna dignità.
Il loro martirio è raccontato dalle passiones di Aurea e di Censorino, ambedue di nessun valore storico, con qualche variante per la cronologia e per l'eroe principale, ma sostanzialmente identiche. Se si escludono Aurea, venerata certamente ad Ostia, dove esisteva una chiesa a lei dedicata e restaurata da papa Sergio I alla fine del sec. VII, e Ciriaco che probabilmente è lo stesso martire venerato l'8 agosto (vedi Ciriaco, Largo e compagni), tutti gli altri personaggi che compaiono nelle suddette passiones sono assolutamente sconosciuti alle antiche fonti agiografiche e perciò la loro esistenza è molto dubbia.
Secondo la passio Aureae, questa, al tempo di Claudio, è arrestata e, dopo essere stata sottoposta alla tortura, è esiliata ad Ostia dove vive in una sua villa.
Ivi conosce il vescovo Ciriaco, il presbitero Massimo e il diacono Archelao che operano miracoli e convertono molti pagani i quali, battezzati da Massimo e da Archelao, sono confermati da Ciriaco.
Conoscendo la loro attività apostolica, Claudio invia ad Ostia il vicario Ulpio Romolo che arresta quei fedeli, li sottopone alla tortura e li fa decapitare: Massimo ed Archelao insieme con altri, «ad arcum ante theatrum», Ciriaco in carcere.
I loro corpi sono seppelliti il 23 agosto da un certo Eusebio.
Secondo la passio Censurini, invece, è questi l'esiliato ad Ostia al tempo dell'imperatore Gallo e ivi s'incontra con tutti gli altri martiri, ricordati nella precedente leggenda.
Il vicario Ulpicio Romolo li condanna tutti alla decapitazione, che viene eseguita «ad arcum qui erat ante theatrum» il 5 settembre, e i loro corpi sono seppelliti dal presbitero Eusebio.

(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ciriaco, Massimo, Archelao e Compagni, pregate per noi.

*Santi Claudio, Asterio e Neone - Martiri (23 Agosto)

Martirologio Romano: Ad Ayaş in Cilicia, nel territorio dell’odierna Turchia, Santi fratelli martiri Claudio, Asterio e Neone, che, accusati dalla matrigna per la loro fede cristiana, si dice siano stati decapitati sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Lisia.
Santi Claudio, Asterio, Neone, Domina e Teonilla, Martiri a Egea.
Negli Atti latini di san Claudiano (BHL, I, p. 275, nn. 1829-30) si legge che Claudio, Asterio, Neone, Domnina, e Teonilla furono denunziati a Lisia, preside della Licia, nella città di Egea e che, dopo atroci tormenti, furono uccisi il 23 agosto.
In diversi sinassari, Claudio, Asterio, Neone e Teonilla (o Neonilla) sono celebrati il 30 ottobre e si dice che patirono sotto Diocleziano e Lisia; l'elogio è ripetuto al 27 gennaio.
Il nome di Teonilla non compare nel Geronimiano, mentre quello di Domnina non si legge nei sinassari; nella memoria del Martirologio Romano, fatta al 23 agosto, il nome di Domnina è erroneamente mutato in Donvina. In alcuni calendari mozarabici i primi tre santi sono celebrati con Domnica, Teomile e suo figlio.
Secondo la passio, essi furono martirizzati nel primo anno del governo di Diocleziano (285); Asterio e i suoi due fratelli furono crocifissi e le donne morirono durante il supplizio.
Il gruppo è occasionalmente ricordato anche nella passio di Zenobio e Zenobia (cf. BHG, II, p. 320, n. 1884).
Le due recensioni latine della passio differiscono dagli elogi greci.

(Autore: Augusto Moreschini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Claudio, Asterio e Neone, pregate per noi.

*Beati Costantino Carbonell Sempere, Pietro Gelambert Amer e Raimondo Grimaltos Monllor - Gesuiti, Martiri (23 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Gesuiti”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
+ Tavernes de Valldigna, Spagna, 23 agosto 1936
Padre Constantino Carbonell Sempere, nacque ad Alcoy (Alicante) il 12 aprile 1866, fu ammesso nella Compagnia di Gesù nel 1886 e divenne sacerdote.
Fu ministro della Residenza di Gandía.
Fratel Pedro Gelambert Amer nacque a Manacor (Baleari) il 29 marzo 1887, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1907.
Svolse l’incarico di elettricista e meccanico nella Residenza di Gandía.
Fratel Ramón Grimaltos Monllor nacque a Puebla Larga (Valencia) il 3 marzo 1861 ed entrò nella Compagnia nel 1890.
Si occupava degli acquisti nella Residenza di Gandía.
Durante la guerra civile spagnola furono uccisi insieme presso Tavernes de Valldigna il 23 agosto del 1936.

Martirologio Romano:
In località Tavernes de Valldigna nel territorio di Valencia in Spagna, Beati martiri Costantino Carbonell Sempere, sacerdote, Pietro Gelabert Amer e Raimondo Grimaltós Monllor, religiosi della Compagnia di Gesù, che subirono il martirio durante la persecuzione contro la fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Costantino Carbonell Sempere, Pietro Gelambert Amer e Raimondo Grimaltos Monllor, pregate per noi.

*Sant'Eugenio di Ardstraw - Vescovo (23 Agosto)

Irlandese, vissuto nel VI secolo. Figlio di Caimeach, della stirpe reale di Laeghaire Lorc, Eugenio di Ardstraw è uno dei santi più noti dell'Irlanda.
Si narra che Eugenio ancora ragazzo viene rapito e venduto come schiavo. Lavora per anni nei mulini reali della Bretagna, costretto a macinare il grano. Riesce a liberarsi e, insieme a due compagni di prigionia, fa ritorno nel proprio paese.
Per alcuni anni si dedica intensamente allo studio, ma poi con san Lochan e Sant'Enna decide di fondare un monastero nella contea di Wickolw, dove rimane quindici anni. Successivamente assieme a San Tigernach, suo compagno di schiavitù, contribuisce ad erigere il monastero di Clones nell'Irlanda settentrionale, per poi recarsi con i suoi discepoli ad Ardsratha, l'odierna Ardstraw.
Qui, apprezzato da tutta la comunità cristiana, è eletto vescovo.
In Irlanda Sant'Eugenio di Ardstraw è ricordato il 23 agosto, giorno della sua morte. (Avvenire)

Etimologia: Eugenio = ben nato, di nobile stirpe, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Londonderry in Irlanda, Sant’Eugenio, primo vescovo di Ardstraw.
È il più noto dei 10 Santi irlandesi che portano il suo nome (Eoghan in gaelico, Owen in inglese).
Figlio di Caimeach della stirpe reale di Laeghaire Lorc, si narra nella "Vita" latina pubblicata nel 1645 che Eugenio ancora fanciullo venne rapito dai pirati insieme con Tigernach e Cairpre, essi vennero portati prima in Britannia e poi in Bretagna, dove vennero venduti come schiavi e messi a macinare il grano dei mulini reali.
In seguito, miracolosamente liberati, tornarono in patria ed Eugenio dopo aver studiato per alcuni anni nel grande monastero di Rosnat, fondò anch’egli insieme a San Lochan e SWant' Enna, un monastero nella contea di Wickolw dove rimase quindici anni.
Si trasferì successivamente nell’Irlanda settentrionale dove aiutò dapprima San Tigernach suo antico compagno di schiavitù ad erigere il monastero di Clones e poi andò con i suoi discepoli a stabilirsi ad Ardsratha attuale Ardstraw nella contea di Tyrone dove in seguito fu eletto vescovo, primo della serie di questa sede episcopale, sede che nel 1254 fu trasferita poi a Derry.
La sua festa in tutta l’Irlanda è al 23 agosto, giorno della sua morte e sotto questa data è commemorato nel Martirologio di Tallaght.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eugenio di Ardstraw, pregate per noi.

*Beato Ferdinando da Cardona - Mercedario (23 Agosto)

† 1473
Meritevolissimo provinciale di Castiglia (Spagna), dell'Ordine Mercedario, il Beato Ferdinando da Cardona, all'età di 90 anni santamente come aveva vissuto, morì nell'anno 1473 nel convento di Sant'Eulalia in Cordova.
Il suo corpo fu sepolto nella chiesa dello stesso convento.
L'Ordine lo festeggia il 23 agosto.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ferdinando da Cardona, pregate per noi.

*Beati Fiorentino Perez Romero e Urbano Emanuele Gil Saez - Martiri (23 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Terziari Cappuccini dell'Addolorata” “Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001 “Martiri della Guerra di Spagna”

Martirologio Romano: Vicino alla cittadina di Vallibona sempre nel territorio di Valencia in Spagna, Beati martiri Fiorentino Pérez Romero, sacerdote, e Urbano Gil Sáez, religioso, del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della Beata Vergine Addolorata, che portarono a termine il loro combattimento per la fede nel corso della medesima persecuzione.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Fiorentino Perez Romero e Urbano Emanuele Gil Saez, pregate per noi.

*San Flaviano (o Flavio) di Autun - Vescovo (23 Agosto)  
La maggior parte degli storici lo identifica col vescovo di Autun, Flavichonus, ricordato nella Vita di Eptadio di Cervon, contemporaneo del re Clodoveo (inizio del VI secolo).
La lista episcopale lo mette al dodicesimo posto, dopo Eufronio, che morì verso il 490.
Etimologia: Flaviano = dai capelli biondi, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Autun nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Flaviano, vescovo, che fiorì al tempo del re Clodoveo.
Di questo vescovo di Autun si conosce soltanto il nome, che si legge nel Martirologio Geronimiano (23 agosto); la maggior parte degli storici lo identifica col vescovo di Autun, Flavichonus, ricordato nella Vita di Eptadio di Cervon, contemporaneo del re Clodoveo (inizio del sec. VI).
La lista episcopale lo mette al dodicesimo posto, dopo Sant' Eufronio, che morì verso il 490.
La festa è menzionata il 23 agosto nel Martirologio Romano.

(Autore: Jean Marilier - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Flaviano di Autun, pregate per noi.

*San Flavio di Rouen - Vescovo (23 Agosto)  

VI sec.

San Flavio è un vescovo della diocesi di Rouen.
Viene menzionato nella cronotassi episcopale della città, negli antichi cataloghi anteriori al XIII secolo, al sedicesimo posto, dopo San Godardo menzionato nel 511 e prima di San Pretestato.
Di lui non sappiamo nulla. Secondo la moderna storiografia si ritiene abbia governato la diocesi prima del 538 e dopo il 541, dato che è riportata l’annotazione dove viene registrata la sua partecipazione ai due concili di Orléans del 538 e 541.
La sua festa nella diocesi di Rouen viene celebrata nel giorno 23 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Flavio di Rouen, pregate per noi.

*Beato Francesco Dachtera - Sacerdote e Martire (23 Agosto)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Salno, Polonia, 22 settembre 1910 – Dachau, Germania, 23 agosto 1944
Sacerdote diocesano. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beato Francesco Dachtera, sacerdote e martire, che, di origine polacca, in tempo di guerra, morì per Cristo, sfinito dalle atrocità su di lui operate da medici privi di ogni rispetto della dignità umana.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Dachtera, pregate per noi.

*Beato Giovanni Bourdon (Protasio da Sees) - Sacerdote e Martire (23 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort” 64 Martiri della Rivoluzione Francese

1747 - 1794
Religioso cappuccino incarcerato con molti altri sacerdoti in una galera, durante la Rivoluzione Francese. Morì consumato dalle malattie, mentre si prendeva cura dei suoi compagni di carcere.
Martirologio Romano: All’ancora nel mare antistante Rochefort sulla costa francese, Beato Giovanni (Protasio) Bourdon, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappucini e martire, che, messo in una galera durante la rivoluzione francese insieme a molti altri sacerdoti, morì consunto da malattia mentre portava conforto ai compagni di reclusione.
Sullo stesso famigerato naviglio "Deux-Associés" dove morí il Beato Jean-Louis di Besançon c'era anche padre Protasio Bourdon. Anche di lui non sono numerose le notizie. Nato il 3 aprile 1747, venne battezzato il giorno dopo nella parrocchia di Saint-Pierre di Séez (Orne).
I suoi genitori e parenti erano benestanti, il padre, Simone Bourdon era un carraio e la madre si chiamava Maria Luigia Le Fou.
La formazione cristiana ricevuta (nulla in particolare si conosce della sua fanciullezza e adolescenza) fece maturare in lui la vocazione alla vita religiosa che lo spinse a entrare, ormai ventenne, fra i cappuccini di Bayeux dove professò il 27 novembre 1768 prendendo il nome di Frate Protasio.
Nel 1775 fu consacrato sacerdote e tra le scarse notizie d'archivio si trova che abitò per un po’ di tempo nella casa d'Honfleur, vicino al santuario di Notre-Dame des Grâces, di cui ebbe la direzione. Lo si trova anche nel convento di Caen il 29 novembre 1783, e nel 1789 è segretario del ministro provinciale di Normandia.
L'ultima sua destinazione, come segretario provinciale e guardiano, fu il convento di Sotteville, vicino a Rouen. Qui con la sua comunità lo trovarono gli agenti municipali quando vennero a perquisire la casa
e a richiedere il giuramento della costituzione civile del clero.
Egli rifiutò assieme agli altri suoi confratelli, ribadendo in due circostanze diverse la sua volontà di perseverare nella vita religiosa, e particolarmente il 26 agosto 1791, mentre era in atto l'ultima verifica dell'inventario del convento, dal quale i religiosi l'anno dopo vennero definitivamente espulsi e messi sulla strada. P. Protasio volle ugualmente rimanere a Rouen e, rifiutando di prendere la via dell'esilio, trovò ospitalità presso un signore, che compensava con un po' della sua pensione e delle elemosine ricevute per le messe celebrate.
Questa sua tenacia gli meritò di essere arrestato il 10 aprile 1793 e di subire un interrogatorio da parte di due fanatici "citoyens", che, nella sua futilità e leggerezza, mostra, come solitamente avviene, l'inconsistenza di simili processi di cui è piena, purtroppo, la storia.
Il testo di questo interrogatorio è stato fortunatamente conservato. P. Protasio risponde con molta libertà, ma è chiaro nel dichiarare di aver rifiutato il giuramento, di voler seguire fedelmente la sua vita religiosa, ed è reticente dove si tratta di non svelare il coinvolgimento di altre persone.
Nella perquisizione avvenuta nella casa dove si era rifugiato erano stati trovati dei manoscritti e alcuni libri stampati che divennero capi d'accusa perché difendevano i refrattari. Egli, da buon normanno, non offre ulteriori spiegazioni che sarebbero state compromettenti anche per altri e neppure svela il nome delle persone presso cui andava celebrando l'Eucarestia in segreto.
È un atteggiamento unicamente religioso: per questo egli ha affrontato rischi e pericoli.
È qui il suo eroismo.
A lui interessa la fede integra, semplice, lucida. Non c'è nessun atteggiamento politico. L'effetto però è immediato: egli è subito rinchiuso nell'antico seminario di Rouen Saint-Vivien, utilizzato dai rivoluzionari come casa di detenzione provvisoria, in attesa della sentenza definitiva, che arriva il 10 gennaio 1794: il "cittadino" Jean Bourdon, ossia p. Protasio è condannato ad essere deportato alla Guyane per aver celebrato la messa illegalmente e aver tenuto documenti sospetti.
Il 9 marzo viene trasportato verso Rochefort. Vi arriva il 12 aprile e, perquisito, viene privato di tutto quello che poteva ancora avere: un orologio d'oro con una scatoletta per coprirlo (probabilmente si trattò di una custodia eucaristica) e 1303 lire.
Imbarcato sul vascello famigerato "Deux-Associés", segue la sorte degli altri prigionieri. Il quadro desolante di sofferenze volgari, di agonie e di morte che forma il tessuto quotidiano di quella prigionia è lo stesso già descritto per il beato Jean-Louis Loir. Dopo quattro mesi p. Protasio, nella notte dal 23 al 24 agosto 1794, moriva di male contagioso.
Un sopravvissuto rilasciava più tardi questa testimonianza: "Era un religioso di grande merito ed encomiabile sia per le sue iniziative a favore dei confratelli deportati, sia per le sue capacità fisiche e morali di cui era dotato, sia soprattutto per la sua fermezza nella fede, la sua prudenza, equilibrio, regolarità e altre virtù cristiane e religiose".

(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Giovanni Bourdon, pregate per noi.

*Beato Giovanni Maria della Croce (Mariano Garcia Mendez) - Dehoniano, Martire (23 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli” di Valencia Beatificati nel 200
“Martiri della Guerra di Spagna”

Sant'Esteban de los Patos (Avila), 25 settembre 1891 – Valenza, 23 agosto 1936
Mariano Garcia Méndez, ordinato sacerdote nella diocesi di Avila nel 1916, entrò dieci anni dopo come religioso nella congregazione devoniana, che lo venera come protomartire, prendendo il nome di Giovanni Maria della Croce.
Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’ 11 marzo 2001 con altri 232 vittime della guerra civile spagnola.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Silla nello stesso territorio, Beato Giovanni Maria della Croce (Mariano) García Méndez, sacerdote della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù e martire, che sempre nella stessa persecuzione religiosa conservò la fede in Cristo fino alla morte.
233 martiri, vittime della sanguinosa Guerra Civile Spagnola (1936-1939) sono stati beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II.
Nella grande disumana strage che insanguinò la Spagna, il numero delle vittime superò il milione, colpendo persone di ogni classe, età e fede.
Gli storici hanno ormai riconosciuto che all’interno di questo terribile massacro, nei territori allora chiamati “zona rossa”, in mano agli anarchici ed ai socialcomunisti, si perpetrò una vera e propria persecuzione contro i cristiani cattolici.
I fedeli laici, solo perché cristiani, furono ammazzati a decine di migliaia e con loro furono massacrati 4148 sacerdoti diocesani, 12 vescovi, 283 suore, 2365 religiosi (sacerdoti e fratelli), per un totale finora riconosciuto di 6808 martiri, con la distruzione di numerose chiese.
La Chiesa sta beatificando a gruppi più o meno numerosi tutti quelli, sacerdoti, religiosi, suore e laici, di cui si è potuto raccogliere le notizie necessarie per l’espletamento della pratica di beatificazione.
Nel gruppo di 233 martiri beatificati nel 2001 sono presenti, cito solo alcuni gruppi: 32 salesiani, 19 cappuccini, 18 domenicani, 17 francescani, 12 gesuiti e così via per tanti Ordini e Congregazioni di più recente istituzione; a loro si aggiunge un consistente numero di sacerdoti diocesani e laici, per un totale di 74 martiri, il cui capofila è il Beato Josè Aparicio Sanz, parroco.
I 37 sacerdoti e parroci e i 37 laici, sono quasi tutti della diocesi di Valenza; furono uccisi in luoghi diversi singolarmente o a piccoli gruppi, tutti nel secondo semestre del 1936 e fra loro c’è padre Mariano Garcia.
Padre Mariano Garcia Mendez nacque a S. Esteban de los Patos, vicino Avila, il 25 settembre 1891 da Mariano Garcia Hernandez e da Emeteria Mendez Grande, giovani, modesti, pacifici agricoltori; al battesimo ebbe lo stesso nome del padre Mariano e fu il primo di quindici figli.
Ricevé la Cresima ad un anno e mezzo, cosa abbastanza usuale nelle famiglie profondamente religiose di allora.
Crebbe nella gioiosa grande famiglia sempre risuonante delle voci cristalline dei bimbi, ricevette una profonda educazione religiosa con l’esempio determinante della madre, la quale non mancava di esternare, quanto piacere avrebbe avuto saperlo sacerdote.
Cosa rarissima a quei tempi, Mariano fece la Prima Comunione a sette anni e da allora cambiò; non solo giochi ma anche occupazioni che rispecchiavano la sua religiosità, ritagliava immaginette sacre dalle stampe, costruiva altarini, invitava i compagni a pregare o spiegava il catechismo.
Più grandicello prese ad aiutare la famiglia nei lavori agricoli e verso gli undici anni dando ascolto a quella chiamata che sentiva dentro di sé, entrò in Seminario ad Avila.
La vita da seminarista fu del tutto esemplare, secondo tutte le testimonianze dei superiori e professori; eppure la sua vocazione fu in pericolo, quando dopo qualche anno il padre si ammalò e tutta la numerosa famiglia cadde nel bisogno, fu necessario richiamare Mariano dal Seminario per lavorare nei campi.
Il giovane addolorato, prese la decisione come un volere di Dio e soltanto quando il padre tre mesi dopo si riprese, chiese di poter ritornare in Seminario.
Giunto alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, una crisi lo colpì, si sentiva spinto ad una vita più mortificante del suo orgoglio di primo della classe, di modello per gli altri studenti; quindi lasciò il Seminario e andò nel convento Domenicano di Avila, ma anche qui dopo un anno di Noviziato non portato a termine, subendo continui mal di testa, bocca secca, un’afonia inspiegabile che non lo faceva partecipare al coro, lasciò e ritornò umiliato al Seminario diocesano, dove nonostante tutto fu benevolmente accolto dai superiori.
Completò gli studi e fu ordinato sacerdote il 18 marzo 1916 dal vescovo di Avila mons. Gioacchino Beltran; il 25 marzo 1916 don Mariano Garcia Mendez celebrò la sua prima Messa a S. Esteban de los Patos, fra il tripudio della semplice gente del villaggio.
Restò al suo paese per un certo periodo, alternandosi con la sua presenza al 38° Reggimento di Madrid per espletare il servizio militare, rimandato fino allora a causa degli studi; a Madrid conobbe anche suor Maria Gesuina del Gran Poder, religiosa che avrà un ruolo importante nelle sue future scelte.
Il vescovo di Avila lo assegnò come vicario in due parrocchie della Vecchia Castiglia a Herman-Sancho e Villanueva de Gomez e lui zelante, si spostava da una parrocchia all’altra, la sua opera di sacerdote e pastore gli meritò la convinzione generale dei fedeli che fosse un Santo.
Il vescovo contento del suo impegno, gli assegnò una terza parrocchia nel 1918, nominandolo vicario economo di S. Juan di Encinilla; caritatevole oltre ogni limite, dava ai poveri tutto quello che aveva; si consumava nella preghiera, sotto la pioggia e sotto la neve, don Mariano accorreva ad ogni chiamata nonostante le distanze fra i vari luoghi.
In quegli anni la salute già cagionevole, diventava più precaria a causa di una gastrite cronica e nel settembre del 1921 lasciò i suoi incarichi di vicario, per diventare cappellano del Noviziato di S. Giuseppe dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Nanclares de Oca (Alava).
Qui restò solo undici mesi, nonostante l’invito dei Fratelli a restare, ma padre Mariano era sempre alla ricerca di come soddisfare il suo desiderio di una vita più contemplativa, unita a Dio profondamente e il 17 maggio del 1922 ottenne il permesso di entrare fra i Carmelitani Scalzi, nel
convento di Larraca-Amorebeita, cambiando il nome in padre fra Juan Garcia Mendez di S. Stefano. Ma la salute ancora una volta fu determinante, dopo un anno ritornò il don Mariano di prima.
Sarebbe stato un ottimo Domenicano o Carmelitano se la salute l’avesse permesso, i superiori degli Ordini avevano entrambi provato a trattenerlo e solo a malincuore avevano acconsentito alla rinuncia.
Il suo vescovo di Avila comprensivo, gli affidò di nuovo l’incarico di vicario a Zabarcos e nella vicina Horcajeulos, anche se il desiderio della vita religiosa lo tormentava sempre più forte.
Dopo nemmeno un anno d’intensa operosità, fu trasferito a Sotillo de las Palomas; in ogni luogo veniva indicato come un santo, era uso pregare in chiesa verso mezzanotte davanti al tabernacolo con le braccia aperte, sobrio nel cibarsi, dormiva spesso per terra, interveniva in difesa degli aggrediti o perseguitati, fu fatto segno anche di una violenta sassaiola.
Nel 1924 la svolta attesa, madre Maria Gesuina del Gran Poder, superiora a Madrid delle Suore Riparatrici, ebbe l’occasione di ospitare un gruppo di Sacerdoti del Sacro Cuore, fondati dal venerabile Leone Dehon (1843-1925) e a loro parlò di don Mariano, del quale sapeva i suoi desideri e accoglieva la sua confidenze.
Dopo uno scambio di corrispondenza con i Sacerdoti del Sacro Cuore, padre Mariano Garcia Mendez decise di recarsi alla loro Casa di Puente la Reina dal Superiore padre Guglielmo Zicke, per chiarire ed appianare gli ostacoli.
Avuto di nuovo il permesso del vescovo, padre Mariano andò a Novelda per il Noviziato e secondo l’usanza di allora cambiò il suo nome in Juan Maria de la Cruz Garcia.
Era felice di aver trovato la sua strada, poneva nelle cose tutta la sua anima ardente, tutto il fuoco del suo essere, senza risparmiarsi. Ma la sua fragile salute ancora una volta stava per far saltare tutto, allora padre Juan Garcia Mendez il 16 gennaio 1926, scrisse in una stupenda lettera a Dio, di concedergli almeno dieci anni di vita, se era volontà Sua, per poterlo glorificare nella salvezza delle anime.
La preghiera fu esaudita, la salute non impedì più a padre Mariano di proseguire per la sua strada. Emise la sua professione nell’ottobre del 1926, in quell’occasione ricevette una crocetta nuda con un cuore d’argento che portò sempre e servirà poi ad identificarlo fra i cadaveri buttati in una fossa comune del cimitero di Silla.
Gli anni che seguirono lo videro impegnato nella sua Congregazione in compiti anche lontani dalle sue aspirazioni, fu cercatore o meglio questuante per i ragazzi poveri della Scuola Apostolica di Puente la Reina, girando in lungo e largo le province inquiete della Spagna, fu anche insegnante degli aspiranti Sacerdoti del Sacro Cuore, anche se l’insegnamento non era il suo forte, con la sua presenza in certe case avvennero conversioni e guarigioni prodigiose, come per la figlia del signor Santiago Ferrer di Pamplona; rimase per due anni a Novelda come Cappellano nella chiesa dell’Istituto e insegnante di religione al Collegio.
Fra un impegno e l’altro, si recò per una pausa di approfondimento alla Casa Generale di Roma, dove fu particolarmente colpito dalle testimonianze dei martiri, specie di Santa Cecilia.
Semplice nel comportamento e nei rapporti con gli altri; abituato come parroco a decidere, dovette da religioso aspettare il permesso dei superiori per tutto.
Ma in Spagna si approssimavano giorni molto tristi, già nel 1931 furono incendiate e devastate un centinaio tra parrocchie, chiese e Istituti religiosi, con lo scopo di distruggere il Cattolicesimo nella Spagna; nel 1934 ci fu la rivoluzione delle Asturie con 34 sacerdoti uccisi e 58 chiese distrutte.
Dopo le Asturie fu la volta della Catalogna e padre Juan Garcia Mendez non ebbe più quell’accoglienza cordiale di prima, quando bussava a qualche porta per un contributo. Era la sua veste nera, portata con orgoglio, a far chiudere le porte in quel triste periodo che coinvolgeva anche la Navarra e altre province.
Il 24 luglio il superiore di Garaballa, il convento-santuario dove era stato mandato per un po’ di riposo, decise di sciogliere la comunità minacciata dagli assalti dei miliziani rossi che tutto distruggevano, per salvare la vita a tutti gli ospiti.
Padre Mariano insieme ad uno studente s’incamminarono per allontanarsi, ma si divisero dopo un po’, il sacerdote volle recarsi a Valenza che raggiunse avventurosamente e una volta giunto restò esterrefatto nel vedere le artistiche chiese bruciate e saccheggiate.
Il suo risentimento di sacerdote davanti allo scempio lo tradì, fu arrestato per strada sebbene travestito e portato al commissariato e da lì in prigione identificato con il numero 476.
Rimase nel carcere Modello di Valenza per un mese, in questo periodo, ormai desideroso più che mai del martirio, padre Mariano sfidò con il suo atteggiamento, con il rincuorare gli altri, con la preghiere in comune, con le confessioni, i suoi arrabbiati carcerieri, che non vedevano l’ora di eliminarlo, come avveniva con le tante esecuzioni giornaliere.
E venne anche per lui l’ora del martirio, il 23 agosto 1936 fu prelevato dal carcere insieme ad un altro sacerdote don Vincenzo Palanca e otto laici, dalle guardie scelte della Federazione Anarchica Iberica, i più puri, i più duri, i fedelissimi della rivoluzione.
Furono condotti con un camion ad un piccolo paese Silla e verso l’alba del 24 agosto, fucilati. I loro corpi, l’indomani, furono seppelliti tutti insieme in una fossa del cimitero dagli abitanti del paese, che erano stati intimoriti con le armi a stare in casa, sulla tomba non fu messo un segno che li ricordasse; ormai era iniziato il macello di quella disgraziata e sanguinaria Guerra Civile e a stento c’era qualcuno che seppellisse i tanti morti lasciati dappertutto.
La salma del protomartire della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore (Dehoniani), fu in seguito recuperata e trionfalmente traslata alla Scuola Apostolica di Puente la Reina, il 1° aprile 1940.
Ammalato, aveva chiesto nel 1926 al Signore, dieci anni di vita per glorificarlo e dieci anni furono quando nel 1936 morì gridando “Viva Cristo Re!”.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Maria della Croce, pregate per noi.

*San Giustiniano (Stintan) di Ramsey - Eremita e Martire (23 Agosto)  

Nacque in Bretagna e, in seguito, emigrò nel Galles.
Dopo un certo tempo passò nell'isola di Ramsey (Pembrokeshire) dove incontrò Sant' Onorio ed insieme a lui instaurò nell'isola la vita eremitica.
La fama di Giustiniano attirò l'attenzione di San David, che lo scelse come confessore.
Fu ucciso, secondo alcuni, da un servo indisciplinato, secondo altri dai pirati, e fu seppellito sulla terra ferma; la sua festa è celebrata il 23 agosto.
Il Baring-Gould riporta un altro santo dello stesso nome, chiamato, nel Galles, Gzuestlan, vescovo e confessore, il cui nome è stato latinizzato in Giustilianus o Gistlianus.

(Autore: John Stéphan - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giustiniano di Ramsey, pregate per noi.

*Santi Ireneo e Abbondio - Martiri (23 Agosto)
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di San Lorenzo sulla via Tiburtina, Santi Abbondio e Ireneo, martiri.
Il Martirologio Geronimiano li ricorda il 23 agosto, il Romano invece, seguendo Beda, il 26 dello stesso mese ed aggiunge che perirono durante la persecuzione di Valeriano, gettati nella cloaca perché avevano curato la sepoltura della martire Concordia; i loro corpi furono raccolti dal presbitero Giustino e sepolti in agro Verano presso il tomba di san Lorenzo.
Queste notizie provengono dalla leggendaria passio Polychronii in cui però si dice che i due santi perirono nella persecuzione di Decio e per opera del prefetto Valeriano.
I loro sepolcri erano venerati nel secolo VII, ma gli Itinerari non sono concordi nell’indicarne l’ubicazione: la Notitia Ecclesiarum, infatti, afferma che erano sepolti in una cappella accanto e ad ovest della basilica di San Lorenzo fuori le mura; il De locis invece e il Malmesburiense (che non ricorda però Ireneo) affermano che erano deposti sotto l'altare di San Lorenzo.
I primi due Itinerari, inoltre, parlano di una pietra che stava nella cappella (Notitia) o fuori nel portico (De Locis), che era servita per gettare Abbondio nel pozzo e che superstiziosamente «tollent digito multi homines nescientes quid faciunt».
Dalle diverse notizie della passio e degli itinerari si deve concludere che ormai nel secolo VII non si sapeva niente di certo sulla vita dei due martiri. Né maggiori indicazioni sa darci il monaco Gottschalk di Limbourg che nel secolo XI compose in loro onore due sermoni, dai quali soltanto apprendiamo che il corpo di Abbondio, senza testa, era conservato nella chiesa di quel monastero, mentre di quello di Ireneo non si avevano più sicure notizie.

(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ireneo e Abbondio, pregate per noi.

*Beato Juan Soler Garcìa - Sacerdote e Martire (23 Agosto)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Chirivel, Spagna, 1° dicembre 1904 – 23 agosto 1936

Juan Soler García nacque a Chirivel, in provincia e diocesi di Almería, il 1° dicembre 1904. Il 2 giugno 1928 fu ordinato sacerdote. Svolse gli incarichi di professore in Seminario e coadiutore della parrocchia del Santissimo Sacramento presso la Cattedrale dell’Incarnazione di Almería. All’insorgere della persecuzione religiosa durante la guerra civile spagnola, tornò al suo paese, dove morì in odio alla fede cattolica il 23 agosto 1936.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Juan Soler Garcìa, pregate per noi.

*Beato Ladislao (Wladyslaw) Findysz - Sacerdote e martire (23 Agosto)
Kroscienko Nizne, Polonia, 13 dicembre 1907 - Nowy Zmigród, Polonia, 21 agosto 1964
Nasce a Kroscienko Nizne presso Krosno (Polonia) il 13 dicembre 1907. Riceve l’ordinazione sacerdotale il 19 giugno 1932 a Przemysl. Nel 1942 è nominato parroco a Nowy Zmigród.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale con generosità si dedica all’aiuto spirituale e materiale di tutti gli abitanti della sua parrocchia, indipendentemente dalla loro nazionalità o confessione.
Negli anni del Concilio Vaticano II inizia l'attività pastorale di “opere conciliari di bontà”, dal pulpito e tramite lettere-appelli esorta ad un rinnovamento della vita cristiana. Le autorità comuniste reagiscono al suo zelante lavoro pastorale con numerose persecuzioni.
Il 17 dicembre 1963 viene condannato a due anni e sei mesi di reclusione accusato di “costringere i fedeli a pratiche religiose”. Nel carcere viene sottoposto a maltrattamenti e umiliazioni fisiche, psichiche e spirituali.
Le autorità con premeditazione non permettono di eseguire operazione del carcinoma precedentemente prevista. Viene scarcerato sotto condizione nello stato di estremo esaurimento. Muore dopo qualche mese il 21 agosto 1964.
Il cardinale Jozef Glemp lo ha beatificato il 19 giugno 2005, dando lettura della Lettera Apostolica del Papa Benedetto XVI.

Emblema: Palma
Nasce a Kroscienko Nizne presso Krosno (Polonia) il 13 dicembre 1907 da Stanislao Findysz e Apollonia Rachwal, contadini di antica tradizione cattolica. L’indomani, 14 dicembre 1907 nasce alla vita di Grazia nella chiesa parrocchiale della SS.ma Trinità a Krosno.
Nell’anno 1919 termina la Scuola Elementare, gestita dalle Suore Feliciane (CSSF) a Kroscienko Nizne e inizia gli studi presso il Ginnasio Statale.
Nell’autunno del 1927 giunge a Przemysl, entra nel Seminario Maggiore. La formazione al sacerdozio avviene sotto la guida del rettore il Beato sac. Giovanni Balicki. A coronamento di questo periodo formativo l’ordinazione sacerdotale ricevuta il 19 giugno 1932. Intraprende la funzione di vicario nelle parrocchie di Boryslaw, Drohobycz, Strzyzów e Jaslo. In seguito l’8 luglio 1941 riceve la nomina di amministratore della parrocchia dei SS. Apostoli Pietro e Paolo a Nowy Zmigród. Dopo un anno, il 13 agosto 1942, viene nominato parroco della suddetta parrocchia.
Fra l’assiduo lavoro pastorale e le esperienze dolorose della guerra sono passati per il Rev. Findysz tre anni di vita pastorale a Nowy Zmigród. Il 3 ottobre 1944, come tutti gli abitanti, viene espulso dai tedeschi. Al suo ritorno, il 23 gennaio 1945, si dedica a riorganizzare la parrocchia.
Dopo la guerra il suo servizio si svolge in tempi duri sotto il governo comunista. Il Rev. Findysz continua l’opera di rinnovamento morale e religioso della parrocchia, si prodiga per preservare i fedeli, soprattutto giovani, dalla programmata ed intensiva ateizzazione comunista; aiuta, anche materialmente, tutti gli abitanti della parrocchia, indipendentemente dalla loro nazionalità o confessione; salva numerose famiglie di Lemki (grecocattolici), severamente perseguitati dalle autorità comuniste, minacciati d’essere espulsi senza pietà dai loro luoghi di residenza.
Il lavoro pastorale del Rev. Findysz è molto scomodo per le autorità comuniste. Fin dal 1946 è sorvegliato dai servizi segreti. Nel 1952 l’autorità scolastica lo sospende dall’esercizio dell'insegnamento della catechesi nel Liceo.
Non può agire nel territorio dell’intera parrocchia perché l’autorità del distretto, per ben due volte (nel 1952 e nel 1954) respinge la sua richiesta di permesso di soggiorno nella zona di confine, dove si trovava una parte della parrocchia.
Da parte dell’autorità ecclesiastica è ritenuto un parroco zelante: riceve le onorificenze dell’Expositorio Canonicali nel 1946, del Rocchetto e della Mantelletta nel 1957, anno in cui viene nominato vicedecano e, nel 1962, decano del Decanato di Nowy Zmigród.
Nel 1963 inizia l'attività pastorale di “opere conciliari di bontà” (il sostegno spirituale del Concilio Vaticano II), spedisce lettere-appelli ai parrocchiani in situazione religiosa e morale irregolare esortandoli e incoraggiandoli a rimettere in ordine la loro vita cristiana. Le autorità comuniste reagiscono a questa azione con grande severità e lo accusano di costringere i fedeli a pratiche e riti religiosi. Il 25 novembre 1963, interrogato della Procura di Voivodato a Rzeszów, viene arrestato e condotto nel carcere di Castello di Rzeszów.
Nei giorni 16-17 dicembre 1963 si svolge il processo presso il tribunale di Voivodato a Rzeszów e viene pronunciato il verdetto di condanna a due anni e sei mesi di reclusione.
àIl motivo dell’indagine, dell’accusa e della condanna era basato sul Decreto di tutela della libertà di coscienza e di confessione del 5 agosto 1949 che, semplicemente, era uno strumento nelle mani delle
autorità comuniste per la limitazione e l’eliminazione della fede e della Chiesa cattolica dalla vita pubblica e privata in Polonia.
Il Rev. Findysz venne anche pubblicamente discreditato, calunniato e condannato tramite pubblicazioni montate sulla stampa. Nel carcere del Castello di Rzeszów viene sottoposto a maltrattamenti e umiliazioni fisiche, psichiche e spirituali e, il 25 gennaio 1964, viene trasferito nel Carcere in Via Montelupich a Cracovia.
Poco prima di essere arrestato (settembre 1963), aveva subito un’operazione pericolosa, l’asportazione della tiroide, e lo stato della sua salute rimaneva incerto per la minaccia di complicazioni. Convalescente, rimane ancora sotto cura, seguito dai medici, in attesa di un secondo intervento, previsto nel dicembre dello stesso anno, per l’asportazione di un carcinoma all’esofago. L’indagine, il processo e le prove del carcere esercitano, senza dubbio, un grande influsso sullo sviluppo della malattia di Rev. Findysz che, deve essere ricoverato nell’ospedale della prigione. La sua salute non presenta sostanziale miglioramento per mancanza di cure e medici specialisti e soprattutto per l’impedimento dell’intervento chirurgico del carcinoma; in pratica è condannato ad una morte lenta. La malattia progredisce continuamente, come attestano gli esami medici fatti negli ospedali delle carceri di Rzeszów e di Cracovia.
Fin dall’inizio della sua condanna al carcere l’avvocato e la Curia Vescovile di Przemysl fanno ricorso alla procura e al tribunale di Rzeszów, chiedendo la sospensione dell’arresto a causa della precaria salute che minaccia la morte, ma le richieste respinte più volte, saranno accolte solo a fine del febbraio 1964 da parte del Tribunale Supremo di Varsavia.
Date le sue ormai gravissime condizioni di salute, il 29 febbraio 1964 dal carcere ritorna a Nowy Zmigród. Rimane nella canonica con grande pazienza e sottomissione alla volontà di Dio, sopportando le sofferenze della malattia e dell’esaurimento.
In aprile viene ricoverato nell’ospedale specialistico di Breslavia. Le ricerche, le osservazioni dell’ospedale e gli esami complementari confermano che il carcinoma, per lo stadio raggiunto, non permette l’operazione chirurgica. Dato l’enfisema polmonare, la ricaduta in una forte anemia che lo destinava alla morte, torna a casa.
La mattina del 21 agosto 1964, dopo avere ricevuto i Sacramenti, muore nella canonica di Nowy Zmigród e il 24 agosto viene sepolto nel cimitero parrocchiale della stessa città. Il funerale è presieduto da Mons. Stanislao Jakiel Vescovo Ausiliare della Diocesi di Przemysl con la partecipazione di 130 sacerdoti e numerosi fedeli.
Il 27 giugno 2000 il Vescovo di Rzeszów Mons. Kazimierz Górny, dietro numerose richieste dei fedeli, inizia l’inchiesta diocesana per la beatificazione di Rev. Ladislao Fidnysz.
Durante la tappa romana della causa di beatificazione, la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto che il Rev. Ladislao Findysz è stato arrestato e condannato dalle autorità del regime comunista a motivo dell’annuncio del Vangelo, e il suo imprigionamento e le sofferenze fisiche e spirituali subite hanno causato la sua morte, perciò bisogna riconoscerlo martire per la fede. Questa mozione è stata presentata al Santo Padre e da Lui è stata approvata. Il 20 dicembre 2004 alla presenza di Sua Santità Giovanni Paolo II è stato promulgato il decreto sul martirio del Rev. Ladislao Findysz.
Dichiarato Venerabile da Giovanni Paolo II il 20 dicembre 2004, il cardinale Jozef Glemp lo ha beatificato il 19 giugno 2005, dando lettura della Lettera Apostolica del papa Benedetto XVI.
Questa è la prima causa di beatificazione, già conclusa, impostata sul martirio di un Servo di Dio che è stato vittima del regime comunista in Polonia. Inoltre questa è la prima causa di beatificazione istruita dalla diocesi di Rzeszów.

(Autore: Sac. Piotr Tarnawski, postulatore della causa - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ladislao Findysz, pregate per noi.

*San Lupo (Luppo) - Martire (23 Agosto)  
Il Martyrologium Romanum ricorda oggi San Lupo che, come narra la leggenda, raggiunse la libertà di Cristo patendo il martirio di spada presso Novi (Cezava) in Mesia Inferiore.
Martirologio Romano:
A Sistov in Mesia, nell’odierna Bulgaria, San Luppo, martire, che si ritiene abbia conseguito la libertà di Cristo morendo trafitto con la spada.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lupo, pregate per noi.

*San Moderato di Verona - Vescovo (23 Agosto)  

sec. VII-VIII

San Moderato (o Modesto) è il trentatreesimo vescovo della diocesi di Verona. Nella cronotassi ufficiale figura dopo San Clemente o Salvino e prima di Domenico che resse la diocesi intorno agli anni 712-744.
Anche di questo vescovo scaligero non sappiamo praticamente nulla. Non siamo nemmeno certi del suo nome.
Nella lettura del Velo di Classe fatta dal De Rossi, il suo nome era Modesto in altre parti è chiamato Moderato. Don Dario Cervato, nel suo recente Dizionario dei vescovi veronesi lo chiama Modesto, mentre Mons. Franco Segala trascrivendone l’elogium dal Martirologio della chiesa veronese, propende per Moderato: "Veronae sancti Moderati eiusdem civitatis episcopi (qui, tott episcopatus sui tempore iuris severitatem clementia ita temperavit, ut eum aeque amarent et venerarentur omnes.
Liberalitate in pauperes mirifice commendatus, angelorum choris infertur).
Il suo corpo dovrebbe riposare nella chiesa di Santo Stefano.
La sua festa liturgica era fissata al 23 agosto, fino alla riforma del Proprio veronese, del 1961, voluta dal vescovo Carraro, quando fu annoverato nella festa comune di tutti i vescovi veronesi, e la sua festa venne a cessare.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Moderato, pregate per noi.

*Santa Rosa da Lima – Vergine Domenicana (23 Agosto)

Lima, Perù, 1586 - 24 agosto 1617
Nacque a Lima il 20 aprile 1586, decima di tredici figli.
Il suo nome di battesimo era Isabella. Era figlia di una nobile famiglia, di origine spagnola.  Quando la sua famiglia subì un tracollo finanziario.

Rosa si rimboccò le maniche e aiutò in casa anche nei lavori materiali. Sin da piccola aspirò a consacrarsi a Dio nella vita claustrale, ma rimase «vergine nel mondo».
Il suo modello di vita fu Santa Caterina da Siena. Come lei, vestì l'abito del Terz'ordine domenicano, a vent'anni.
Allestì nella casa materna una sorta di ricovero per i bisognosi, dove prestava assistenza ai bambini ed agli anziani abbandonati, soprattutto a quelli di origine india.
Dal 1609 si richiuse in una cella di appena due metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa, dove trascorreva gran parte delle sue giornate a pregare ed in stretta unione con il Signore.
Ebbe visioni mistiche. Nel 1614 fu obbligata a trasferirsi nell'abitazione della nobile Maria de Ezategui, dove morì, straziata dalle privazioni, tre anni dopo.
Era il 24 agosto 1617, festa di San Bartolomeo. (Avvenire)

Patronato: Fioristi
Etimologia: Rosa = dal nome del fiore
Emblema: Giglio, Rosa
Martirologio Romano: Santa Rosa, vergine, che, insigne fin da fanciulla per la sua austera sobrietà di vita, vestì a Lima in Perù l’abito delle Suore del Terz’Ordine regolare dei Predicatori.
Dedita alla penitenza e alla preghiera e ardente di zelo per la salvezza dei peccatori e delle popolazioni indigene, aspirava a donare la vita per loro, giungendo a imporsi grandi sacrifici, pur di ottenere loro la salvezza della fede in Cristo.
La sua morte avvenne il giorno seguente a questo.
(24 agosto: A Lima in Perù, anniversario della morte di Santa Rosa, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).
Nacque a Lima, capitale dell'allora ricco Perù, il 20 aprile 1586, decima di tredici figli.
Il suo nome di battesimo era Isabella. Era figlia di una nobile famiglia, di origine spagnola.
Il padre si chiamava Gaspare Flores, gentiluomo della Compagnia degli Archibugi, la madre donna Maria de Oliva. Per cui, il nome della Santa era Isabella Flores de Oliva.
Ma questo sarà dimenticato in favore del nome che le diede, per la prima volta, la serva affezionata, di origine india, Mariana, che le faceva da balia, la quale, colpita dalla bellezza della bambina, secondo il costume indios, le diede il nome di un fiore. “Sei bella - le disse - sei rosa”.
Fu cresimata per le mani dell'arcivescovo di Lima ed anche lui Santo, Toribio de Mogrovejo, che le confermò, tra l'altro, in onore alle sue straordinarie doti fisiche e morali, quell’appellativo datole dalla serva india. Rosa ad esso aggiunse “di Santa Maria” ad esprimere il tenerissimo amore che sempre la legò alla Vergine Madre del cielo soprattutto sotto il titolo di Regina del Rosario, la quale non mancò di comunicarle il dono dell'infanzia spirituale fino a farle condividere la gioia e l'onore di
stringere spesso tra le braccia il Bambino Gesù.
Visse un'infanzia serena ed economicamente agiata. Ben presto, però, la sua famiglia subì un tracollo finanziario. Rosa, che aveva studiato con impegno, aveva una discreta cultura ed aveva appreso l'arte del ricamo.
Si rimboccò, quindi, le maniche, aiutando la famiglia in ogni genere di attività, dai lavori casalinghi alla coltivazione dell'orto ed al ricamo, onde potersi guadagnare da vivere.
Sin da piccola aspirò a consacrarsi a Dio nella vita claustrale, ma il Signore le fece conoscere la sua volontà che rimanesse vergine nel mondo.
Ebbe modo di leggere qualcosa di Santa Caterina da Siena.
Subito la elesse a propria madre e sorella, facendola suo modello di vita, apprendendo da lei l'amore per Cristo, per la sua Chiesa e per i fratelli indios.
Come la santa senese vestì l'abito del Terz'ordine domenicano.
Aveva vent'anni. Allestì nella casa materna una sorta di ricovero per i bisognosi, dove prestava assistenza ai bambini ed agli anziani abbandonati, in special modo a quelli di origine india.
Sempre come Caterina, fu resa degna di soffrire la passione del Suo divino Sposo, ma provò pure la sofferenza della “notte oscura”, che durò ben 15 anni.
Ebbe anche lo straordinario dono delle nozze mistiche.
Fu arricchita dal suo Celeste Sposo altresì di vari carismi come quello di compiere miracoli, della profezia e della bilocazione. Dal 1609 si richiuse in una cella di appena due metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa, dove trascorreva gran parte delle sue giornate in ginocchio, a pregare ed in stretta unione con il Signore e delle sue visioni mistiche, che iniziarono a prodursi con impressionante regolarità, tutte le settimane, dal giovedì al sabato. Nel 1614, obbligata a viva forza dai familiari, si trasferì nell'abitazione della nobile Maria de Ezategui, dove morì, straziata dalle privazioni, tre anni dopo.
Grande, già in vita, fu la sua fama di santità.
L'episodio più eclatante della sua esistenza terrena ce la presenta abbracciata al tabernacolo per difenderlo dai calvinisti olandesi guidati all'assalto della città di Lima dalla flotta dello Spitberg.
L’inattesa liberazione della città, dovuta all’improvvisa morte dell’ammiraglio olandese, fu attribuita alla sua intercessione. Condivise la sofferenza degli indios, che si sentivano avviliti, emarginati, vilipesi, maltrattati soltanto a motivo della loro diversità di razza e di condizione sociale.
Sentendosi avvicinare la morte, confidò “Questo è il giorno delle mie nozze eterne”. Era il 24 agosto 1617, festa di S. Bartolomeo.
Aveva 31 anni. Il suo corpo si venera a Lima, nella basilica domenicana del Santo Rosario.
Fu beatificata nel 1668. Due anni dopo fu insolitamente proclamata patrona principale delle Americhe, delle Filippine e delle Indie occidentali: si trattava di un riconoscimento singolare dal momento che un decreto di Papa Barberini (Urbano VIII) del 1630 stabiliva che non potessero darsi quali protettori di regni e città persone che non fossero state canonizzate.
Fu comunque canonizzata il 12 aprile 1671 da Papa Clemente X.
È anche patrona dei giardinieri e dei fioristi. È invocata in caso di ferite, contro le eruzioni vulcaniche ed in caso di litigi in famiglia. (Autore: Francesco Patruno)
Dagli "Scritti" di Santa Rosa da Lima, Vergine
Il Salvatore levò la voce e disse: Tutti sappiamo che la grazia segue alla tribolazione, intendano che senza il peso della afflizioni non si giunge al vertice della grazia, comprendano che quanto cresce l'intensità dei dolori, tanto aumenta la misura dei carismi.
Nessuno erri né si inganni; questa é l'unica vera scala del paradiso, e al di fuori della croce non c'é altra via per cui salire al cielo.
Udite queste parole, mi sentii spinta a scendere in piazza per gridare a tutti, qualunque fosse la loro età, il sesso e la condizione: Ascolta, popolo; ascoltiamo, genti tutte.
Da parte di Cristo e con parole della sua stessa bocca vi avverto che non si riceve grazia senza soffrire afflizioni.
É necessario che dolori si aggiungano a dolori per conseguire l'intima partecipazione alla natura divina, la gloria dei figli di Dio e la perfetta bellezza dell'anima.
Questo stesso stimolo mi spingeva fortemente a predicare la bellezza della grazia divina, mi tormentava e mi faceva sudare ed anelare.
Mi parve che l'anima non potesse più trattenersi nel carcere del corpo, ma che la prigione dovesse rompersi, ed essa, libera e sola, con più agilità, se ne andasse per il mondo gridando: Oh se i mortali conoscessero che gran cosa é la grazia, quanto é bella, quanto nobile e preziosa, quante ricchezze nasconde in sé, quanti tesori, quanta felicità e delizie! Senza dubbio andrebbero essi stessi alla
ricerca di fastidi e pene; andrebbero questuando molestie, infermità e tormenti invece che fortune, e ciò per conseguire l'inestimabile tesoro della grazia.
Questo é l'acquisto e l'ultimo guadagno della sofferenza ben accettata.
Nessuno si lamenterebbe della croce e dei dolori, che gli toccano in sorte, se conoscesse con quali bilance vengono pesati nella distribuzione fra gli uomini."
(Al medico Castillo; ed. L. Getino, La Patrona dell'América, Madrid 1928, pp. 54-55)
[* 1586 Lima + 1617 Lima]
Vaghissimi fiori di santità sbocciarono nel Terz’Ordine Domenicano, fra tutti Santa Caterina da Siena che primeggia, riassumendo cosi tutto l’ideale dell’Ordine, per la sua meravigliosa vita contemplativa e attiva.
Santa Rosa da Lima, la prima santa del Nuovo Mondo, fu attratta al Terz’ Ordine proprio dal profumo di santità della vergine senese, che imitò mirabilmente.
Battezzata col nome di Isabella Flores, si chiamò Rosa, perché quand’ era ancora in culla il suo volto si trasformò in una bellissima rosa; più tardi poi la Madonna volle si chiamasse Rosa di Santa Maria.
A cinque anni fece voto di verginità e poco dopo, appena giovinetta, si recise i capelli per togliere a sé e gli altri ogni speranza mondana.
Anelante al chiostro, Dio le fece conoscere chiaramente che la voleva nel mondo sotto le bianche lane Gusmane, che ricevette pubblicamente il 10 agosto 1606.
Si fece martire della penitenza volontaria, a cui Dio aggiunse un martirio ancor più torturante: quello delle desolazioni interiori, che durarono quindici anni.
Purificata attraverso questa lunga e dolorosa notte, parve alfine che tutto il cielo discendesse nell’anima sua. Gesù stesso, con divina tenerezza, le disse: "Rosa del mio cuore, sii la mia sposa".
E fu sposa, ma sposa di sangue, tutta accesa di zelo fattivo ed operoso, per ricondurre anime al cuore del suo Gesù.
Fu arricchita di doni straordinari, come quelli della profezia e dei miracoli.
La sua morte, il 24 agosto 1617, fu uno spettacolo di paradiso, seguita da prodigi e da conversioni senza numero. Il suo corpo è venerato nella Basilica Domenicana del Santo Rosario a Lima.
Papa Clemente X il 12 aprile 1671 l’ha proclamata Santa.
L’America Meridionale e le Filippine la invocano come loro Patrona.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Rosa da Lima, pregate per noi.

*Beate Rosaria (Piera Maria Vittoria) Quintana Argos e Serafina (Emanuela Giusta) Fernandez Ibero - Vergini e Martiri (23 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001 “Martiri della Guerra di Spagna”

+ Puzol, Spagna, 23 agosto 1936

Beatificate l'11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Puzol sempre presso Valencia in Spagna, Beate Rosaria (Piera Maria Vittoria) Quintana Argos e Serafina (Emanuela Giusta) Fernández Ibero, vergini del Terz’Ordine delle Cappuccine della Sacra Famiglia e martiri, che conseguirono la grazia del martirio nella medesima persecuzione.
Beate Pietra Maria Vittoria Quintana Argos (Rosaria da Soano) e 2 compagne, Martiri
Furono uccise nel corso della Guerra civile spagnola (1936-39) e sono ritenute martiri della fede.
Pietra Maria Vittoria Quintana Argos nacque il 13 mag. 1866 nel paese di Soano, in provincia di Santander (Spagna), da Antonio Quintana Cuesta e Luisa de Argos Cabanzón.
Nel 1889 entrò nella Congregazione delle suore terziarie cappuccine della Sacra Famiglia, fondata da Luigi Amigó y Ferrer (1854-1934). Emise la professione religiosa temporanea nel 1891 e la perpetua nel 1896. Fu superiora in diverse case, maestra delle novizie, consigliera generale (1896-1914), superiora generale (1914-1926) e vicaria generale dal 1926 alla morte.
Ebbe un carattere buono, sereno ed affabile; la fede, la carità, la fedeltà a Dio e alla sua vocazione, la povertà, l'umiltà furono le sue virtù caratteristiche.
Allo scoppio della Rivoluzione in Spagna si trovava nella casa-noviziato di Masamagrell (Valencia) insieme alla superiora locale Emanuela Giusta Fernàndez Ibero (suor Serafina Maria da Ochovi), nata ad Ochovi, in provincia di Navarra (Spagna), il 6 agosto 1872.
Entrò fra le terziarie cappuccine nel 1887. Emise i voti temporanei nel 1891 e cinque anni dopo quelli perpetui. Fu consigliera generale (1902-36) e superiora di diverse comunità. Era esigente con sé e con gli altri, franca, seria, amante del lavoro, caritatevole.
Nel pomeriggio del 21 agosto 1936 suor Rosaria da Soano e suor Serafina Maria da Ochovi furono arrestate, perché religiose, e uccise la notte successiva.
La loro consorella Maria Fenollosa Alcaìna (suor Francesca Saveria da Rafelbunol) nacque a
Rafel-bunol, in provincia di Valencia (Spagna), il 24 maggio 1901.
Entrò in convento nel 1921 ed emise la professione temporanea nel 1924 e quella perpetua nel 1928.
A Masamagrell svolse l'incarico di aiutante della maestra delle novizie. Era stimata da tutti come una suora pia, fervorosa, umile, amante del silenzio, sempre sorridente.
Tornata in famiglia a causa del pericolo che incombeva sulla sua comunità, il 27 settembre 1936 fu arrestata insieme al fratello Giuseppe. Il giorno dopo i loro cadaveri furono trovati in cimiteri diversi.
La Santa Sede concesse il nulla osta nel novembre 1990 e la causa di beatificazione fu iniziata nella curia di Valencia con la celebrazione della inchiesta diocesana nel 1991 (fino al 1993).
La Positio super Martyrio è stata esaminata il 14 maggio 1999, con esito positivo, dai consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi. La causa attende di passare all'esame della Sessione Ordinaria dei cardinali e vescovi.

(Autore: Marcello Bartolucci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Tydfil - Vergine e Martire (23 Agosto)  
Tydfil (Tudful), figlia di Brychan, fu uccisa dai pagani a Merthyr Tydfil nel Glamorganshire, circa l’anno 480, mentre visitava il suo vecchio padre.
Ella è patrona non soltanto della chiesa di Merthyr Tydfil, ma anche del Llysronydd (ora Lisworney) e di Port Talbot nella stessa contea di Glamorganshire.
La sua festa si celebra il 23 agosto.

(Autore:
Hugh Fenning - Fonte: enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Tydfil, pregate per noi.

*San Zaccheo - Vescovo di Gerusalemme (23 Agosto)  

II secolo
Martirologio Romano:
Commemorazione di san Zaccheo, vescovo, che si tramanda abbia retto la Chiesa di Gerusalemme quarto dopo san Giacomo, fratello del Signore.
Il Martirologio Romano riporta solo due santi di nome Zaccheo, uno vescovo di Gerusalemme con festa al 23 agosto e l’altro martire di Cesarea di Palestina insieme a Sant' Alfio con festa al 17 novembre.
San Zaccheo vescovo, è riportato da Eusebio (265-340) vescovo di Cesarea e storico delle origini della Chiesa, che nella sua “Historia Ecclesiastica” enumera i nomi dei primi quattro vescovi di Gerusalemme e cioè San Giacomo il Minore apostolo, San Simeone, Giusto e San Zaccheo.
Quindi San Zaccheo fu il quarto vescovo di Gerusalemme e vissuto nel II secolo.
Purtroppo di lui non si sa altro; l’agiografo Adone († 875) fu il primo ad inserirlo nel suo ‘Martirologio’, dal quale passò in quello di Usuardo († 877) e da questi nel ‘Martirologio Romano’, compilato dal card. Cesare Baronio nel XVI secolo.
Ma c’è un terzo s. Zaccheo detto il Pubblicano, figura evangelica che per la verità è ricordato più in Oriente che dai Latini, il 20 agosto e in altre date; la Chiesa Copta il 20 aprile; i Bizantini la 32ª domenica dopo Pentecoste; nel Martirologio di Rabban Sliba è ricordato il 27 agosto come vescovo di Cesarea; non è menzionato nel Martirologio Romano.
In Francia una tradizione leggendaria, lo fa giungere dalla Palestina a Roc Amadour come sposo della Veronica e venerato sotto il nome di Amadoro il 20 agosto.
Zaccheo era il ricco capo dei pubblicani, cioè dei gabellieri che avevano l’incarico di esattori delle tasse a Gerico e nonostante fosse ebreo, per questa sua attività al servizio dei Romani, era disprezzato dai connazionali.
Quando Gesù passò per Gerico, Zaccheo che era basso di statura, per poterlo vedere salì su un albero di sicomoro.
Il Maestro lo vide, lo invitò a scendere e gli chiese di ospitarlo nella sua casa, nonostante il mormorio di disapprovazione dei presenti.
Da quell’incontro nella casa di Zaccheo il Pubblicano, Gesù ottenne da lui la promessa che avrebbe distribuita la metà dei propri beni ai poveri e se avesse frodato qualcuno, avrebbe restituito il quadruplo di quanto estorto.
Al di fuori di questo racconto evangelico, non si sa altro; tutto il resto è leggenda, come la qualifica di vescovo di Cesarea di Palestina, il suo sbarco in Francia, il matrimonio con la Veronica, l’identificazione con l’eremita Amadoro, ecc.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Zaccheo, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (23 Agosto)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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